Nel 1983 moriva Rodolfo Siviero, nome che forse ai più dirà ben poco, ma che fa in realtà parte di tutto quel sottobosco di funzionari statali che da sempre hanno caratterizzato la politica interna ed estera, quella meno appariscente e meno incravattata, di ogni Paese civile.
Nonostante questo, Rodolfo Siviero era noto per l’acuta insofferenza per le trafile burocratiche e per l’idiosincrasia verso la cecità della mediocre classe politica italiana in materia di beni culturali (da allora non è cambiato niente, anzi). Da giovanissimo Rodolfo Siviero confida nell’efficacia riformatrice e nella carica rivoluzionaria del fascismo lasciandosi prendere talvolta dalla retorica dannunziana; entra così a far parte del Servizio Informazioni Militari, chiamato dal generale Alberto Pariani a far parte del gruppo che si occupa di covert operations, le operazioni segrete sotto copertura. Fra i suoi primi incarichi c’è quello di ottenere informazioni sull’intenzione della Germania di annettere l’Austria. Ma le cose non vanno per il verso giusto e nel 1938 Siviero è espulso dalla Germania come «persona non gradita». Dal 1940 prende contatto con ambienti antifascisti e, come si legge nei suoi diari, organizza «il sabotaggio di acquisti illegali di opere d’arte in atto da parte di Hitler e Göring a Firenze e in altre città».
E come in ogni teatro di guerra che si rispetti non poteva mancare l’apporto degli USA: dal 1943 al 1951 un gruppo di soldati, soprannominati Monuments-Men (gli statunitensi non perdono mai l’occasione per essere ridicoli) prestò servizio nella MFAA (Monuments, Fine Arts, and Archives) e il cui compito, su mandato del Presidente degli Stati Uniti Franklin Delano Roosevelt, era quello di andare in Germania, salvare le opere d’arte rubate dai tedeschi e restituirle ai legittimi proprietari.
Le storie del nostro Siviero e dei Monuments-Men si intrecciano.
L’ufficio recuperi di Siviero nasce ufficialmente il 16 maggio 1945, anche se de facto esisteva da molto prima. Al suo esordio la disponibilità delle istituzioni nei confronti di Siviero è massima. L’uomo è descritto come persona «che possiede particolari competenze in materia e nel quale questa direzione generale crede di poter disporre piena e assoluta fiducia». Si avvisano i CS (centri di controspionaggio) e il vicecapo del Comando alleato, capitano Reginald Stenophe Wright, che a Siviero è stato affidato l’incarico di ricerca e recupero del materiale artistico trafugato. Siviero è autorizzato a interventi di polizia giudiziaria e «ha competenza nel sequestro di materiale artistico del patrimonio nazionale da chiunque illecitamente detenuto».
La collaborazione della burocrazia italiana però non dura molto. Di lì a poco gli storici dell’arte (con Carlo Ludovico Ragghianti in testa) non perdonano a Siviero di fare il poliziotto, le forze dell’ordine di farlo al posto loro.
Agli occhi degli americani, commenta Francesca Bottari, storica dell’arte che ha scritto un libro dal titolo “Rodolfo Siviero, Avventure e recuperi del più grande agente segreto dell’arte” (Editore Castelvecchi), questo rimbalzo di competenze e di primati deve essere sembrata una stravaganza tutta italiana. Tanto che l’ammiraglio Ellery W. Stone, alto commissario americano in Italia scrive al Presidente del consiglio Ferruccio Parri e, per conoscenza al suo ambasciatore e a quello britannico, formulando una lusinghiera difesa dell’attività del nucleo di Siviero e descrivendone l’attiva collaborazione con gli alleati. Annota Francesca Bottari: «La necessità di ricorrere a informazioni riservate e militari per le indagini non può che destare sospetti e indispettire le istituzioni di studiosi, agli occhi dei quali il patrimonio artistico pare ridotto a un bottino qualunque da ritrovare. Questo causa uno spiacevole rimbalzo di competenze e genera la riprovazione delle istituzioni straniere per la lentezza della burocrazia italiana».
Col passare del tempo, gli italiani fanno di tutto per ostacolare Siviero. Il ministro Gonella si rifiuta persino di firmare i rimborsi delle spese sostenute da Siviero, di tasca sua, nel corso delle missioni. Addirittura, negli ingranaggi dei vari ministeri, c’è persino chi si oppone al rientro delle opere d’arte, tanto per fare un dispetto a Siviero, che annota nel suo diario la «ritirata dello Stato davanti ai ladri». In pratica, dalla fine degli anni Cinquanta, nonostante un lavoro eccellente, Siviero è come un cane sciolto; nel suo ufficio di Palazzo Venezia può contare su pochi collaboratori, quasi solo carabinieri che la burocrazia cerca di ridurgli di numero, e una rete di informatori. Ma a dispetto dei denigratori lui non cambia: i suoi metodi di lavoro e di indagine sono sempre i soliti: «da solo organizza e coordina i recuperi con l’aiuto dei suoi personali informatori, delle polizie e diplomazie internazionali, tratta personalmente i casi e patteggia, scambia, si apposta, forse minaccia o ricatta, come si ricostruisce da alcuni casi di recupero». Ma il successo gli arride quasi sempre.
Negli ultimi anni della sua vita Siviero riceverà un altro brutto colpo: il 25 maggio 1982 i carabinieri gli comunicano un avviso di reato per «esportazione abusiva di opere d’arte e usurpazione di pubbliche funzioni».
Niente meglio delle parole annotate nel suo diario, riassumono la reazione e la sensazione di tradimento che devono aver colto un uomo come Siviero:
«Avere carattere per i cialtroni che ci governano vuol dire avere un brutto carattere. Il nostro mondo è una fogna di lumaconi senza guscio, d’invertrebrati e di imbecilli».
Alla sua morte, il 26 ottobre 1983, Siviero porta con sé molti segreti. La delegazione italiana per le restituzioni è sciolta nel 1987 e le opere italiane mancanti sono ancora migliaia.
Scriverà il giornalista Fabrizio Dentice:
«Era un uomo del Rinascimento. L’uomo del Rinascimento non era perfetto, ma era intero, nel bene e nel male, e Siviero era proprio questo (…). Il nemico alle spalle era nei Ministeri e negli anditi del Palazzo: la burocrazia pavida, servile, incerta, corriva e complice, per snobismo e opportunismi, di interessi che Siviero mortificava nell’interesse dello Stato».